Il gioco è solo l’inizio.

Prendo in prestito lo slogan pubblicitario della Playstation 3 per parlare di tutt’altro.

Voglio pensare a questa frase non in riferimento a una console ma a un gioco in sè. Cosa dovrebbe voler dire che in un videogioco “il gioco è solo l’inizio”?

Per me il significato è chiaro: un videogioco ha da offrire molto di più che un semplice gioco, è molto più di un passatempo. O meglio, POTREBBE offrire molto di più e DOVREBBE ESSERE più di un passatempo. I condizionali sono d’obbligo perchè sono ben pochi, a mio avviso, i videogiochi che riescono ad andare oltre il loro essere un gioco.

Cerco di chiarire il mio pensiero.

Fino a non molti anni fa non chiedevo molto a un gioco se non che mi facesse divertire e mi facesse passare del buon tempo a cuor leggero. Oggi per me un gioco che risponde solo a queste caratteristiche è un gioco che si prende un 6 stiracchiato. Il motivo è evidente: crescendo si impara ad analizzare criticamente più aspetti di un gioco, in termini assoluti o relativi ad altri titoli, e mi rendo conto che “divertire” non è una qualità di un gioco ma solo il suo “dovere”, il minimo essenziale, la base per prendersi un 6, appunto.

Un videogioco per me non è solo del gameplay in ambienti assortiti, con nemici diversi e armi diverse.

Un videogioco deve essere un’esperienza unica e questo può essere garantito da molti elementi: un’ambientazione eccezionale, una grandissima storia, un protagonista carismatico, “un’idea” unica del gioco. Di queste cose penso che la più difficile da realizzare sia l’ambientazione, soprattutto se il gioco permette un po’ di libertà di scelta e di esplorazione. Quando, però, viene fatto un buon lavoro, l’ambientazione è ciò che rende un gioco “vivo”. Un mondo ovviamente fantastico ma realizzato in modo che tutto sia “credibile”, in cui quando parli con le persone (anche inutili ai fini della trama o del gioco, solo “di contorno”) scopri che ogni popolo ha le sue “tradizioni” e che si comporta più o meno inconsciamente in un certo modo verso un’altra razza, bè, è semplicemente magnifico. Se ci pensate è proprio questo che, passando un attimo al campo letterario, fa la differenza tra “Il Signore degli Anelli” e qualsiasi altro romanzo fantasy. Il buon Tolkien, professore di lingue ad Oxford, si è inventato le lingue della Terra di Mezzo (che immagino saprete hanno precise regole grammaticali); da lì ha pensato alla cultura dei popoli che la abitavano e quindi ha partorito il suo capolavoro, rendendolo unico e “reale”. Lo stesso effetto, o meglio, lo stesso “tipo” di effetto si può ottenere in un videogioco, basta pensare ai lavori Bioware.

Purtroppo non è molta la gente che cerca qualcosa “in più” in un videogioco e per questo la “Cultura videoludica”, con la C maiuscola, fa fatica a diffondersi, permettendo quindi alle software house di campare (e con ogni probabilità di guadagnare di più) con idee riciclate o anche senza nessuna idea.

Ogni riferimento a CoD, Fifa, Pes e giochi con un’uscita periodica standard è puramente voluto. Ora sapete anche da dove deriva buona parte dell’odio di cui parlavo nell’altro articolo.

“I love gaming” – Kevin Butler

Prova a cercare ancora!

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